Paolo Fittipaldi

COME FACCIO A SPIEGARE A QUALCUNO CHE SCRIVERE È UN LAVORO?

Come faccio a spiegare a qualcuno che scrivere è un lavoro?

Questa è una domanda che chi fa il mio mestiere, se l’è posta almeno una volta nella vita. Non che sia obbligatorio spiegarlo necessariamente, ma arrivati a un certo punto viene proprio voglia di farlo.

Sui genitori e parenti, metteteci una croce sopra. La maggior parte di loro non capirà, almeno quelli che come me hanno i genitori di un’altra generazione, forse anche di due generazioni fa.
Una volta fatto pace e capito che con la famiglia la battaglia è persa, concentratevi sul resto del mondo.

Chi lavora con la creatività lo sa bene: quando non si producono che idee, così eteree, impalpabili, volatili e gassose, spesso non si riesce a dimostrare che il nostro è un lavoro. Non facciamo collane, scarpe, mobili o abbiamo un negozio di qualcosa. Quindi rimettetevi il cuore in pace anche con loro, tanto non servirà. Non capiranno.

Capito questo, passate allo step successivo: prendiamo chi il nostro lavoro creativo lo fa per hobby o per passione (scrittori, dj, musicisti, cantanti, copywriter e tantissimi altri). Senza entrare nel merito della meritocrazia o degli ingaggi sempre più miseri, visto l’enorme quantità di “artisti” disposti a qualsiasi tipo di compromesso, vi dico felicemente: lasciate perdere. Anche con loro, battaglia persa. Loro arrotondano, si divertono, lo fanno per guadagnare qualcosa in più o per svago e proprio non gli interessa nulla. Molti hanno un lavoro fisso che permette una vita tranquilla e sono disposti ad azzardare solo una piccola percentuale di rischio. Come i pacchetti azionari prudenti. Quindi cercare di convincere molti di loro (almeno quelli con bassissime qualità creative o di tecnica) è impresa impossibile. Lasciate perdere.

E quelli che fanno il nostro stesso mestiere? Sono nella vostra situazione, loro lo sanno bene ma tra chi si lamenta (e sono tantissimi) e chi si loda paventando miliardi di lavori a destra e sinistra, si rischia di cedere al mugugno facile o all’invidia logorante con senso di inadeguatezza e depressione annessa. Quindi procediamo.
Digerito questo, proviamo a convincere lo Stato, l’immenso mondo delle Partite Iva e dei tecnici dell’economia spiccia, ma onestamente, lo sconsiglio, non se ne esce.
Ma allora chi rimane da convincere? Ve lo siete chiesti? La risposta pare ovvia. Pensateci. Chi ci rimane?
Resti tu! Noi ci dobbiamo convincere tutti i giorni che questo è il nostro lavoro, anche quando non si fattura, anche quando le fatture non ce le pagano o ci mettono 6 mesi a saldarle o non entra un lavoro manco a pagarlo tu. Ci dobbiamo convincere tutti i giorni che siamo sulla strada giusta e che non esiste un piano B, che non c’è un lavoro paracadute, che non riusciremmo a fare altro. Che dobbiamo provarci ogni maledetto giorno. Il perché non lo so, ma sento che c’è ed è immenso.

Personalmente io cerco di non tradire il bambino per l’uomo, di non tradire me stesso facendo cose che non mi piacciono. Non è detto che sia solo una questione creativa, tutti i lavori sono così, anche l’artigiano, l’economista o il farmacista.

E se sei abbastanza convincente con te stesso ogni mattina, allora alza la testa con orgoglio e almeno per un giorno, quella maledetta domanda, la smetterà di picchiettarti in testa.

 

farsha

SPIAGGIA O OPERA D’ARTE? A SHARM EL SHEIK

Sono a Sharm El Sheikh da alcuni giorni quando un gruppo di italiani, conosciuti in nave per caso, mi parla di una spiaggia molto particolare a mezz’ora dal mio resort. Organizziamo così un pulmino e il giorno dopo, detto fatto, ci avviamo tutti assieme alla scoperta di questo posto curioso.

La macchina finalmente si ferma e ci mostra un ingresso che già da sé ci lascia allibiti e ancora di più, il panorama visibile ai nostri occhi una volta varcata la soglia, realizzata da un assemblaggio apparentemente casuale degli oggetti antichi più disparati. In cima a una lunghissima scalinata che conduce alla spiaggia, vediamo un mare stupendo, abbracciato da questa spiaggia che sembra, a primo impatto, una soffitta a cielo aperto dov’é possibile trovare immense porte di legno di antiche case egiziane, cesti di ferri da stiro anni 50, marionette, motociclette anni 80 messe lì assieme al resto come arredo, ampolle di vetro soffiato colorate che scendono da ogni dove, tappeti colorati che dipingono il paesaggio, una infinità di contenitori di latta di diverse dimensioni che assieme alle porte e ad altri oggetti appoggiati in pendenza, compongono delle impressionanti installazioni veramente alternative divise per colori e stile, e ad un certo punto é tutto chiaro: chi ha realizzato tutto questo é un Artista che ha saputo fare di una spiaggia un’opera d’arte unica al mondo! Fatalità (e forse nulla avviene per caso), io e il mio gruppo eravamo sotto l’ombrellone a chiacchiere, quando si avvicina a noi un tizio chiaramente egiziano ma molto bravo a parlare la nostra lingua. Ci saluta e ci accoglie come un padrone di casa sa fare, augurandoci infine una buona giornata. Era lui! E io, inarrestabile curiosa per natura, non resisto alla voglia improvvisa di fargli tremila domande per sapere la storia di quella spiaggia incredibile. Non poteva mancare un’intervista improvvisata ad Alfred.

Farsha